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Bullismo e cyber-bullismo.


- Quante e quali forme ha il fenomeno

- Chi l’agisce non ha una stessa identità

Per definire cosa sia il bullismo basta guardare a un qualsiasi dizionario, quale forma di vessazione e aggressione di un altro, debole, ai margini del vivere di gruppo, diverso in quanto non facente parte di un “branco”.

E’ un “agito”, un atto meccanico quanto “perverso” di vessazione contro l’altro, un essere non essere che è ai margini (lo “sfigato”, i ragazzi lo individuano subito).

I motivi del bullismo sono talmente diversi e divaricanti, proprio nell’”essenza”, da permettere opinioni diversificate di ordine scientifico, sulla stampa ed i giornali, di stampo socio-educativo e via di seguito. A livello psicologico si può arrivare ad affermare che “chiunque” può assumere nel tempo sia il ruolo di vittima che quello di persecutore. C’è tutto un filone scientifico che “azzarda” ipotesi poi rivedute a livello di morale e di etica sociale.

Le sfaccettature, già come fenomeno da descrivere, sono molteplici: le matasse si dipanano in fili quando si va sulla storia, con rigore, quando si va sulle vicende dei personaggi coinvolti che attribuiscono loro significati psicologici di personalità a un agito che da un punto di vista legale, è semplicemente un reato.

Spesso si attribuiscono al fenomeno del bullismo cause come le classi troppo numerose, i fallimenti e le frustrazioni, alcune caratteristiche particolari della vittima (come il grasso, i capelli rossi, gli occhiali, buoni risultati scolastici, etc.). Ancor di più incide la personalità e la capacità di reazione (il cosiddetto Q.E. = quoziente emozionale, che può aumentare tranquillamente anche con la psicoterapia).

Oltre questi elementi, acquisiscono un significato particolarmente stringente gli stessi fattori ambientali quali il metodo usato dall'insegnante per tenere l'ordine e la sicurezza dell'insegnante nell'agire e nell'interagire in mezzo ai suoi alunni con gli alunni stessi. In poche parole è necessario che l'insegnante sia capace di distinguere i momenti in cui essere amico (cosa importante) ed in cui essere il professore solido e deciso.

Altre variabili scatenanti il bullismo possono consistere in violenze subite durante l'infanzia, problemi familiari passati, disturbi psichiatrici (meno rari di quanto si pensi … fossi in voi farei un'indagine!), atteggiamento troppo permissivo o limitativo da parte dei genitori della vittima o del bullo. Tutti aspetti questi di ordine e coerenza interfamiliare, e relazionale, che vanno ben al di là di quanto possa di per sé incidere la comunicazione di massa, il valore del potere e della pretesa-prepotenza, il fare mesto di chi accusa il colpo! Alcuni pareri attribuiscono anche alla tv un ruolo di “cattivo educatore” (bullismo.com e riferimenti cyber!).

Il personaggio e la sua storia

La storia di un bullo è la storia di un ragazzo o anche di un bambino che può ritenersi vittima a sua volta di atti poco educativi o di “vizio”, noia, aggressione contro il debole e indifeso (il “vigliacco” a livello romanzato).

F. è il leader del gruppo che tiene unito con il far leva sulla forza, il gruppo si rispecchia nel “capo” e fa cerchio, chiude il cerchio.

Ha identificato M., bravo a scuola, preparato, fuori ogni regola trasgressiva, fa tutto per bene, ma è un timido, un osso facile per F. che senza alcun sforzo, accerchia, mette all’angolo, vessa con ogni possibile pretesa. Vai a fare questo, dimmi quell’altro, prepara i compiti al posto mio e me li passi, se non fai quell’altro vedrai lo dico e ti metto in mezzo, faccio chiamare i tuoi genitori dall’insegnante e anche non me ne curo perché pure loro, i grandi, sono responsabili e li metto sotto scacco.

Ma responsabili di che? Non mi comprendono e non me ne frega niente, a me interessa G,. E., V, (tutti i ragazzi del gruppo), a M non interessa far parte del mio gruppo, M. non aderisce, è in un certo senso un “diverso”, un “debole (ahi quanti significati può aver questo debole), è brutto, meschino, ripudia noi e i nostri modi di essere.

Certo non lo dice così, dice che lui si vuol far prendere in giro, che lui deve essere preso in giro, tutto esterno, tutto al di fuori di noi.

Così F. è potente, è leader, è uno che non ha scrupoli, vuole solo essere un capo riconosciuto dal branco di adepti che non possono far altro che seguirlo, non hanno spazi di ripensamento altrimenti può toccare a loro, altrimenti hanno lui contro e gli altri che ancora lo seguono.

Ancora il livello in cui agiscono è quello dell’impulsività perché non c’è proprio nulla di ragionato, è tutto istintivo, è tutto pretesa.

La prima idea che passa per la mente a chi studia il fenomeno è l’assenza di valori e di riconoscimento dell’altro. Quella che “passa” a livello scientifico è l’assenza di contenimento quindi il riconoscimento del valore nell’essere sociale, il rispetto dell’altro.

Per questo si parla tanto di branco, di agito, di non riconoscimento. Ma il branco dà forza, dà senso in età infantile o in età adolescenziale a chi di per sé non ce l’ha, verrebbe da dire, e che dire!? Si pensa alla famiglia, alla scuola, al disvalore istituzionale e poi ancora al senso di impotenza che dentro di sé sente questo tipo di leader.

Guardiamo un po’ dentro la famiglia di F. e guardiamo un po’ dentro la famiglia, proprio speculare di M. che però come individuo a sé non viene riconosciuto. Il sapersi difendere è un valore dei nostri tempi di guerra perché la guerra non è solo quella tra grandi potenze ma anche quella che si sviluppa tra le classi sociali, tra problemi, e così di seguito.

Va però precisato che questo disvalore del gruppo, che pure ha forza “animalesca” non ha valore sancito a livello legale e morale, eppure allo stato dei fatti difficile da regolare in certi casi. Sapersi difendere non dovrebbe essere un’aspirazione, dovrebbe essere un dato scontato, ma non lo è!

Il discorso sul fenomeno si fa lungo, a noi interessa il caso, interessa quella storia, interessa il caso.

Prendiamo ancora M.: la famiglia è separata, lui e la sorella vivono con la madre, lui non ha un padre che possa guidarlo anche se lo ama, lui non va bene a scuola, lui ha da sempre problemi, ne ha e ne crea, ma M dirà “è come se nessuno se ne accorgesse”. Questo però solo infine, inizialmente sta lì a dirmi che sta bene come sta, che ha il suo PC, che lavora sodo e così via, vuole bene a mamma e mamma ne vuole a lui.

A scuola però non vuole che si vada, la scuola è dura, ma piacevole, un mix di sensazioni ed emozioni sovrapposte, è preoccupato, intimorito. E che dire? Lui prima a scuola, prima che i suoi si separassero, andava molto bene, sempre limitatamente a quel che poteva fare perché aveva un suo sostegno in terapia, veniva aiutato e lo sapeva, aveva fiducia.

Certo sta bene a casa, a casa litiga, ma ha i suoi spazi, è riconosciuto dai familiari più stretti, a scuola vuole sempre aiutare gli atri, difende e si difende ad oltranza.

Poi a scuola che accade? Lo vedono bene i suoi insegnanti anche se c’è chi si è accorto di alcune sue pretese nel fare gruppo da “eroe”, quell’eroe senza macchia e senza paura che aiuta chi aderisce ai suoi canoni ed è vessato. Diviene anche lui uno che viene preso di mira, picchiato e vessato. Lui non dirà mai nulla su questo, ma gli insegnanti sanno …

Se di norma chi compie tali trasgressioni è a sua volta stato “abusato” in senso proprio di presa in giro e di poco aiuto nella crescita, chi è propriamente viziato è il “bullo” di periferia che ha la pretesa di comandare e ferisce in modo efferato (anche con mezzi contundenti).

Certo chi è viziato ha poche risorse che socialmente l’aiuterebbero, è un immaturo che non ha scampo se non quello di deridere e sbeffeggiare. Fino all’incredibile abuso dell’altro e delle sue potenzialità, un’aggressione tremenda, senza limiti o confini che arginino le pulsioni sottostanti o l’impulsività propriamente detta.

Generalmente, come noto, è:

· fisicamente forte quanto insicuro a livello proprio psicologico

· aggressivo, pronto a ricorrere alla violenza

· povero nella comunicazione interpersonale

· scolasticamente al di sotto della media

Ha bisogno di sentirsi rispettato, ma non lo ammette, quasi fosse scontato e dovuto, non sa distinguere tra rispetto e paura, di norma presenta un livello di autostima basso: può provenire da un ambiente domestico disfunzionale, è emotivamente immaturo, non accetta responsabilità, pensa che sia divertente dare il tormento ai compagni fisicamente più deboli.

Il bullo:

· ha bisogno di attrarre l’attenzione, fatto costante quanto inevitabile fino a che non si incrina qualcosa;

· stabilisce il suo potere sui membri più deboli del gruppo;

· pratica il bullismo sia perché crede di essere benvoluto e supportato dal gruppo, sia perché crede che sia eccitante;

· conosce come l’insegnante reagisce alle piccole trasgressioni ed agli attacchi minori alla vittima. Studia anche il comportamento dell’insegnante davanti alle proteste della vittima. E’ importante, per questo, che gli insegnanti siano consapevoli e coerenti nel loro atteggiamento;

· continua a comportarsi da bullo se non ci sono conseguenze al suo comportamento, se il resto del gruppo è un silenzioso testimone, se la vittima è silenziosa.

Alcune delle motivazioni a confronto

I ragazzi che “scelgono” di fare i bulli esibiscono un livello di rabbia e di aggressività che sentono di dover “riversare” su altri, particolarmente deboli e/o vulnerabili (vulnerabilità vera o apparente).

Quando scoperti, i bulli negano e contrattaccano fingendo vittimismo, non di rado provano ad evadere, spesso con successo, le proprie responsabilità.

Domande essenziali dovrebbero essere: perché questo bambino o ragazzo è così aggressivo?; Perché non ha imparato a stare con gli atri senza usare la violenza?

E’ importante capire che genere di bullo abbiamo dinanzi per scegliere quale strategia utilizzare.

Il bullo potrebbe, tra le tante ragioni del suo agire:

  • avere problemi psico-fisici come la dislessia, la sordità, l’autismo, o una qualche difficoltà di apprendimento, che non gli consente né di vivere la scuola, né di rendere scolasticamente, come vorrebbe, potrebbe, o gli sia richiesto. Potrebbe combattere la frustrazione con il senso di potere che gli dà l’essere bullo;

  • essere affetto da un disordine di comportamento che può essere precursore di comportamenti antisociali o disordini della personalità;

  • essere a sua volta una vittima di bullismo. Perché si impara in un contesto in cui le figure genitoriali o i propri punti di riferimento conclamati falliscono in modo continuativo nel loro ruolo: potrebbe essere un modo di sopravvivere;

  • essere senza alcun “modello” comportamentale familiare da seguire, perché poveri o inesistente. E’ difficile imparare le regole del comportamento o maturare un’intelligenza emotiva da autodidatti;

  • essere abusato in famiglia ed esprimere la sua rabbia nel bullismo;

  • essere trascurato, o deprivato, tanto che il suo sviluppo comportamentale ed emotivo ha subito un ritardo;

  • essere influenzato negativamente: perché, ad esempio, ha frequentato o frequenta compagnie di pari “sotto schiaffo”.

La vittima, d’altro canto, generalmente è :

· poco propensa alla violenza: cercherà di fare il possibile per evitarla;

· fisicamente meno forte del bullo;

· spesso, scolasticamente al di sopra della norma, differente (sebbene il termine sia altamente relativo);

· sensibile, spesso indipendente, con abilità di comunicazione e propensione a essere compreso dagli adulti …

Insomma, è una figura speculare, il bianco di fronte al nero, l’assoluto in positivo o negativo, l’alfa e la zeta agli antipodi non solo però per la sequenzialità, ma proprio per la differenziazione profonda.

La vittima non riveste posizioni di potere ed è schivo alle politiche di classe. Ma accade anche che la vittima:

· □ non si senta in grado di chiedere aiuto;

· □ non abbia il supporto dei compagni o dell’insegnante, perché non è attraente;

· □ attribuisca la responsabilità di ciò che accade a se stessa;

· □ proviene da un ambiente familiare che rinforza tale responsabilità;

· □ ha un grande bisogno di integrarsi.

Sebbene sia la vittima ad essere spesso etichettata come debole e inadeguata, è il bullo ad essere tale. Se non lo fosse, non avrebbe bisogno di essere un bullo.

La maggior parte degli studenti non è attivamente coinvolta nel bullismo, né come bulli, né come vittime. Sanno che è sbagliato, ma, a meno che non si chieda loro esplicitamente aiuto, o non li si convinca che hanno il dovere di agire, finiscono con l’essere testimoni silenziosi e, in questo modo, complici del fenomeno.

Perché si è grassi, o magri, o alti, o bassi, o per il colore di capelli, o per quello della pelle, perché si è silenziosi, per via degli occhiali, delle orecchie grandi o piccole o a sventola, per i denti sporgenti, per essere di un’altra cultura, per indossare i vestiti ‘sbagliati’, per non voler usare violenza per difendersi, o per qualsiasi altra scusa. Tutte le scuse hanno in comune un unico fattore: essere irrilevanti.

Il bersaglio è semplicemente “un oggetto utile” contro il quale scaricare la propria aggressività.…(educazione e scuola, 2006).

Ora, ai fini di una efficacia che vada oltre lo stupore, di fronte a fenomeni di questa stupefacente incidenza attuale occorre saper comprendere come è fatto un bullo, oltre a che storia ha, come organizza la sua persona e la sua mente, come e dove sono rivolte, che pseudo coerenza ha un bullo e quale quella di una possibile vittima?

Il sentire è molto più palese nel cyber-bullismo dove il nascondersi dietro un pc la dice lunga su un sentire che come spesso accade nella società di oggi va nascosto, sfuggito, non è mai diretto (ipocrita si direbbe a livello morale) in realtà è comunque un sentire, un aver paura o doversi nascondere dietro una maschera.

Sul fenomeno lavora anche alacremente la Polizia che si dedica a ogni crimine che possa riguardare l’uso informatizzato con indubbi successi tutti da esaminare attentamente.

Sullo sfondo una forte incidenza politica, laddove, da un lato, la Convenzione di Istanbul consente di uniformare la legislazione rendendo incisive campagne di contrasto all’unisono, dall’altro rimane superficiale o lacunosa un’efficace attività di penetrazione sul singolo, sulla singola scuola nel territorio “x” o “z”.

La Polizia fa molto eppure deve poter penetrare cortine di omertà. Ricordo ancora casi eclatanti quanto silenti di allievi del liceo dove si sa che elementi particolarmente attivi riescono a cooptare nel crimine (che arriva allo spaccio, che va oltre i confini di convivialità che predispongono all’azione ostativa) altri elementi, li coinvolgono in un giro perverso amichevole che fa leva sulla bravura anche scolastica di questi allievi, che si presentano molto bene e che poi svolgono atti di intimidazione, bene oltre il semplice bullismo che siamo oramai adusi a vedere e segnalare.

E’ un giro criminale, proprio al di dentro del crimine più organizzato sia pure a livello territoriale, un giro che costa e che ha mezzi per distruggere, vessare, intimorire.

Il cyber-bullo

Si sa, il PC è il mezzo più diffuso, di più facile utilizzo, ma anche di più facile strumentalizzazione, nel senso che consente di non apparire. Pensandoci bene anche il leader che offende appare dietro le quinte, lui è quello che magari manda un altro, anche se più frequentemente è lui che si mette in mostra. Ma gli altri che guardano non è che siano meno responsabili.

Su e attraverso un pc possiamo arrivare al suicidio della vittima, non lo dimentichiamo, se queste vittime non sono aiutate, sostenute, se non hanno la possibilità di aprirsi, si chiudono fino al punto di suicidarsi oppure si suicidano perché non vedono una via di uscita, sfiduciati e schiacciati dalla vita stessa. Gli psicologi o gli psichiatri con sensibilità psicologica queste cose le sanno bene e cercano di rinforzare l’autostima, cercano di far trovare una vita d’uscita, cercano di immergersi nell’esperienza dell’altro e di agevolarlo sul piano della comprensione.

La scuola farà la sua nella campagna educativa, sui metodi pedagogici e quindi sulla prevenzione.

Sappiamo che la violenza oggi è sempre più di genere, e questo è un genere di violenza, non dimentichiamolo, su una categoria che viene vista come più fragile, che è bandita da ogni logica di potere, quel potere tanto caro al bullo (insicuro, protervo, arrogante, disfattista, criminale attivo e nascosto dietro un pc!).

Stare sempre connessi a un pc sembra un “incipit giovanile” che di per sé è anche socializzante, ma insomma fino a che punto lasciare aperte le porte? Come distinguere il bene dal male se non si ha contatto col proprio figlio, sia che sia un bullo sia che invece sia una vittima e ha paura di dirlo per non subire ulteriori attacchi?

Il genitore deve poter dialogare o quanto meno deve porre alternative ai figli, non esiste solo il pc o il tablet e la possibilità di connettersi, esistono una miriade di attività giovanili su cui questo rischio non si corre (dallo sport al giocattolo in più o diverso al bambino piccolo, all’attività culturale e via di seguito che richiedono altro tipo di relazione sociale sempre possibile).

Altrimenti poi si rischia di rimanere congelati, disturbati a tutto discapito, sempre e comunque del figlio.

Concordo con l’associazione “Pepita ONLUS” quando rileva “dare ai nostri ragazzi il gusto di una relazione vera che non sia (solo) gestita dal tasto cancella nel momento in cui non ci interessa più, ma che attraverso fatica, impegno e anche sconfitte, dia la sensazione di potenza, di pienezza e non di affollata solitudine!” ogni ragazzo è unico e irripetibile, ogni persona lo è. Su questo concordano ormai gli scienziati a livello mondiale, una delle poche certezze di oggi che abbiamo. Sulla complessità proprio dell’essere vivente. Chiamato uomo.

D’altro canto, sappiamo che i social network sono la “modalità di attacco preferita” per il cyber bullismo, che di solito colpisce la vittima attraverso la diffusione di foto e immagini denigratorie o tramite la creazione di gruppi contro” (cfr Ipsos, febbraio 2013, ricerca ad hoc sul tema).

Prevenire è sempre meglio che “curare”, questo aspetto non deve sfuggire, per cui è chiaro che favorire informazione sul tema ed educazione all’uso del pc è fondamentale, proprio per “sgonfiare” di senso il fenomeno.

Campagne informative a tutto campo sempre più mirate le dovrebbe viepiù svolgere, e le svolge, il ministero con la Polizia Postale sugli effetti on-line dei social network.

Combattere il fenomeno, guardare ai ragazzi

Il fenomeno del cyber-bullismo è inteso come l’insieme di atti di bullismo e di molestia effettuati tramite mezzi elettronici come l'e-mail, la messaggistica istantanea, i blog, i telefoni cellulari e/o i siti web posti in essere da un minore, singolo o da in gruppo, che colpiscono o danneggiano un proprio coetaneo incapace di difendersi.

Cyber-bullismo vuol dire anche assumere iniziative come quelle compiute dalla Polizia di Stato che insieme al Ministero della Pubblica Istruzione lancia il workshop “Una vita da social” presso le scuole di centro capoluoghi di provincia, per l’uso responsabile del mezzo.

Oggi la tecnologia ed Internet permettono la trasmissione di minacce in svariate forme: sms, e-mail, chat con i programmi di messaggeria istantanea ed infine i blog: quelle piazze virtuali nelle quali più persone possono interagire, scrivere commenti e postare nuovi argomenti.

Risulta che i “cyber-bulli” colpiscono la vittima attraverso la diffusione di foto e immagini denigratorie (59%), rubano e-mail, profili o messaggi privati per poi renderli pubblici (48%), inviano sms/mms/e-mail aggressivi e minacciosi (52%), diffondono notizie false sull’interessato via sms/mms/e-mail (58%).

Riflettere sulla rete si fa anche in occasione di festa, come quella del “safer internet day” (sempre più sull’abuso).

Opportuna la vigilanza del Garante per l’infanzia e l’adolescenza ed il riconoscimento da parte della normativa nazionale del diritto del minore ad un sano ed equilibrato sviluppo psico-fisico, così come previsto dalla Convenzione Internazionale sui Diritti del Bambino, adottata a New York dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989, e ratificata dall’Italia con legge 27 maggio 1991, n. 176.

Ok, va benissimo, ma poi la consapevolezza del ragazzo, il suo stile di rapportarsi al web e ai social network va curata a livello individuale e di gruppo.

L’uso responsabile poggia sul senso di responsabilità giovanile, su una crescita che sia consona con le esigenze che il social e l’oggi, il momento storico, proprio impongono e valorizzano, a ragione.

“Ascoltiamo i nostri figli!” sembra uno slogan, ma non lo è, quando si dice ascolto vuol dire accogliere , sostenere, criticare, comunque aiutare a crescere.

Gli effetti sulle vite dei giovani sono pesantissime poiché il 66% dei minori italiani riconoscono nel cyber-bullismo la principale minaccia nei luoghi che frequentano.

Gli effetti:

· compromissione del rendimento scolastico (38%);

· fuga dal gruppo (65% con punte del 70% nelle ragazze);

· conseguenze psicologiche come la depressione (57% con punte del 63% nelle ragazze tra i 15 e 17 anni).

Il genitore deve anche potersi affidare, quando non ce la fa da solo, a professionisti esperti che sappiano di bullismo, di fase evolutiva, che lavorano con gli adolescenti, ad esempio.

E il lavoro è di crescita sulla persona e sulla storia familiare, educativa, con i pari, con coloro che vengono a contatto. E’ capire il come più che il perché sono diventato un bullo o sono ancora una vittima, quali sono le condizioni, come posso uscirne, quali le valenze, come fare in modo che la mia autostima non vada al di là di una soglia critica e aiutarmi nel valorizzarmi: alla fine si scopre che i temi cruciali sono questi, quelli profondi della persona.

C’è chi pensa o sente che l’altro così aderisce a un mio bisogno di dominare, c’è il ragazzo “impoverito” nelle risorse che diviene la mia vittima ideale, facile, scontata, c’è quello che vuole il potere a tutti i costi, c’è l’altro che invece crede che senza certe azioni, essendo a mia volta rifiutato, non mi riscatto. Il senso del rifiuto, questo è un punto, che è un rifiuto percepito, incarnato direi nella persona.

Cosa vuol dire per me forza, potere, sicurezza, come mi metto in condizione di assurgere a una posizione aggressiva di forza (potere autoritario, assoluto) o di converso come mai il mio valore personale deve rimanere sommerso? Chi compie atti di bullismo o di violenza si rende conto fino ad un certo punto di quel che sta facendo, come lo fa, al di là di ogni possibile apparenza di arroganza traslata.

Lo stesso per chi diviene la vittima che non ha via di uscita, senza per questo voler mai giustificare nulla, sia chiaro. Solo per operare in sinergia, d’altronde, a livello psicologico, vado sulla persona anche se le persone hanno temi fondanti similari, ognuno è diverso dall’altro in una complessità che rende unici gli esseri umani.

Il “depauperamento”. Il gusto, proprio di depauperare fino ad annullare, a fini utilitaristici, la persona che ho davanti (che già è in crisi, io la svilisco! O la rifiuto, come in dittatura o per la legge del più forte, non la riconosco comunque). In questo modo sono io come eroe (anche se negativo): il bullo è tale perché può incidere, questo è un punto di svolta nella conoscenza.

La conoscenza terapeutica, andando dal “perché?” al “come mai?”, a che “serve” a te come persona? Come entri in questa modalità di essere? Trova altri agganci per agevolare la persona a superare il problema.

Le risposte sono le più disparate e rivelano un depauperamento che in fondo si teme a propria volta di subire oppure un agito violento disturbato e/o propriamente criminale. Comunque il bullismo o il cyber-bullismo è reato.

La necessità di affrontare il fenomeno del cyber-bullismo, promuovendo tra le nuove generazioni un uso positivo della Rete, quale strumento funzionale alla crescita ed all’arricchimento di bambini e adolescenti, oltre alla conoscenza dei meccanismi di sicurezza e degli strumenti di tutela predisposti dagli stessi operatori del settore, ha richiesto l’adozione di un “ Codice di autoregolamentazione per la prevenzione e il contrasto del cyber-bullismo”, entrato in sperimentazione dall’inizio dell’anno, frutto del lavoro congiunto di istituzioni competenti (Ministero dello Sviluppo Economico, Mise, Agcom, Polizia postale e delle comunicazioni, Autorità per la privacy, Garante per l’infanzia e Comitato media e minori), di associazioni di categoria interessate (Confindustria digitale e Assoprovider in primis), nonché di operatori del settore, tra cui Google e Microsoft. 

E’ comunque è innaturale, come rilevano pensatori di grande fama sociale, che vivono la vita sul campo con le loro associazioni, tutti noi sappiamo che l’adolescenza esplosiva, che non va solo a pizza e birra, che non va e non sta da solo E’ nelle possibilità di tutti trovare il gusto del giro anche del mondo, della bellezza naturale, del rischio e del mistero naturale, della sana curiosità vissuta nella più completa tutela e nel rischio fisiologico, come rilevano i nostri psicologi dell’emergenza che ben sanno quanto in adolescenza si corrano e si debbano correre dovuti rischi e quanto occorre patteggiare e negoziare, andare sul compromesso, sulla richiesta chiara e sulla via di uscita con ognuno dei nostri figli.

Chi subisce, chi arriva al suicidio avrà sensazioni deflagranti sul senso di fallimento incombente che occorre aiutare a dipanare, a mettere a fuoco, su cui occorre riflettere.

Lottare contro qualcosa può infine produrre audacia o rimane morto, dice l’autore (Talec), ma non si può lottare sempre e comunque, ad oltranza, questo è un fatto!

Comunque è il singolo che, nel corso della sua vita, può far divenire la lotta un motore, anche continuo, una fonte di ricchezza. Ricorda: una fonte di ricchezza, una fonte da modulare, una fonte da non invalidare o da valicare in automatico! Il malessere nell’agito è comunque un malessere da estirpare con determinazione e competenza, prima tra tutte quella del genitore, poi quella istituzionale che non deve mai mancare nelle certezze etiche ed educative.

Se e come posso solo immaginare la mia morte, l’annullamento di me, il senso di impotenza più assoluta e di “schiacciamento” questo va oltremodo rimodulato, elaborato, traslato, compreso.

Questo aspetto lascia riflettere a trecentosessanta gradi, questa deriva può trovarci sorpresi e basiti, pensate se l’avessimo di fronte e fossimo noi a essere coinvolti direttamente.

Tanti i punti interrogativi per tante storie diverse.

Se ne avete una, sottolineando magari passaggi sul lavoro pratico, arriviamo a una soluzione ….

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