La fase due è iniziata e si fa un grande sforzo a differenziare, iniziando dalle diversità e dalle necessità del territorio, dall’emergenza regionale, i media continuano a riproporci tutta una serie di problemi facilmente immaginabili fin dalla fase una dell’emergenza coronavirus.
Sappiamo che :
· il supporto economico stabilito dal governo fa arrivare a formulare battute, come “pensare di fare la zuppa di pesce da un acquario è impensabile”
· l’Europa è in costante lite e carente sugli aiuti agli italiani
· rischiamo che non ci siano risorse per raccogliere i prodotti nei campi.
Con questi problemi, che sono politici, siamo abituati da sempre a convivere, si da sempre perché lo stato di diritto diseguaglianze ne crea e come, pensiamo a quel che riesce a fare la criminalità organizzata, pensiamo ai detenuti agli arresti domiciliari su cui pende la minaccia di sfiducia per il governo, pensiamo ai soldi che non arrivano dove dovrebbero e per chi è realmente in difficoltà che sopravvive grazie alla generosità dei singoli.
Non sono un politico, anche se so che un contesto di tal genere, in era di crisi da covid non può non amplificare i problemi di prima, parlo dei temi psicologi ingenti che si prospettano in questo periodo, attacchi di panico e sensi di insufficienza personali che si traducono o in attacchi di aggressività sociale o in pericolose involuzioni depressive.
Ho sempre sostenuto che una cosa sono i problemi oggettivi, un'altra la resilienza e le risorse personali per far fronte ai problemi, e continuo a sostenerlo, scrivo da psicologa e psicoterapeuta, sia ben chiaro.
Rimango allora stupita quando sento che l’imprenditore o il negoziante mi dice “perché
devo riaprire se prima guadagnavo 70 e ora devo avere 30, chiudo!”. Questo non è un ragionamento ma una pretesa, “alla faccia” direi, di chi ha avuto condizioni di indigenza reale, di chi è stato in prima linea come medico sotto pagato, di chi si è rinnovato e non ha mai smesso di lavorare take away, mi sembra il minimo dire, quale problema di rigidità hai?
Sembra non ci sia quell’awarness necessaria e imprescindibile su quello che stiamo passando, semplificata da uno slogan se vogliamo, “siamo in guerra contro un nemico invisibile” e se siamo in guerra occorre coraggio e determinazione nel far fronte comune questo il punto.
Molti sanno cosa vuol dire, come italiana sono fiera di come si è preso atto e si affrontata la fase uno in attesa di un’altrettanto complessa, difficile, stringente fase due, lo sapevamo e allora perché c’è ancora chi sostiene tesi simili?
Se non si hanno risparmi, se sei un imprenditore alle prime armi, se sei un libero professionista fermo e senza risparmi, allora parliamo di resilienza, è meglio. Il tema è politico e lo lascio allora, anche se ho delle idee, gli aiuti possiamo trovarli, da soli e senza Europa mi si dice, sono stati mobilitati 8 miliardi, andiamo avanti su questa strada.
Ma con chi, di principio, piange o si arrabbia come un bimbo non farebbe, beh, allora curiamone il vittimismo, che non mi sembra così raro.
Anche su questo genere di “vittimismo” possiamo ben incidere in terapia, con coraggio, guardando ai dati di realtà, perché se non hai sostegni esterni è grave, ma certo non è impossibile trovare risorse interne, con tutta la sofferenza che questo aspetto può comportare, sull’impegno a guardarsi dentro, il che, non dimentichiamolo è un sostegno e un esempio inestimabile per la famiglia tutta e per i figli in primis.
Ancora rimango stupita sentendo una cronista opinionista, conduttrice comunque che, in televisione dice “io non ho ancora capito cosa sia un assembramento. È necessario ricordare che un assembramento si crea quando non si osservano le misure si sicurezza, quando non si osservano le distanze o quando non si portano le mascherine? Mascherine obbligatorie e il problema è contenuto, non c’è diciamocelo. E si torna ancora a dire che queste mascherine non ci sono, sono esaurite, ma non è il primo compito di security avere le mascherine adatte? Non quelle con la valvola che servono solo a proteggere se stessi, non servono alla comunità, basterebbe che tutti portassimo quelle chirurgiche.
Non facciamo diventare tutto notizia, certo che si sbaglia se si multa chi porta tre caffè magari a un poliziotto che sta facendo il suo dovere, certo che si sbaglia se si multa chi, in sicurezza, organizza un evento o una manifestazione distanziata, certo che il parrucchiere o l’estetista non sono diversi dai negozi di abbigliamento. Allora, in sicurezza, distanziamo, diciamocelo che le multe tout court non servono ed esasperano, ma appunto esasperano, e quando si è in crisi esasperare crea danni inestimabili, mina le sicurezze interiori, scuote il senso della vita, che non c’è più.
Diciamo che nessuno si sente sicuro se uno Stato di diritto libera per motivi di salute chi scioglie i bambini nell’acido, e che non sa come riportarli dentro, ce ne sono altrettanti in fuoriuscita e arriviamo al migliaio, pronti a uscire..come facciamo? Quale il senso di impotenza che ci pervade, quale la stizza o il rancore che proviamo e questo proprio non possiamo non provarlo.
Il primo passo è vederci, accogliere le emozioni, positive o negative che siano, perché solo così possiamo vedere chiaramente come procedere. Chi elude e non accoglie non avrà capacità di resilienza, su questo non c’è dubbio. L’elusione richiede tanta di quella energia, distruttiva, direi, che rovina, certo non produce cambiamenti ad hoc.
Certo che non è corretto che non si venga economicamente sostenuti, così come è certo che lamentarsi solo non serve a nulla se non a creare nuove insicurezze interiori con indubbie conseguenze dannose per sé e per gli altri. Se possibile, certo, lotto per modificare un esterno, che magari dovrebbe governarmi e non lo fa, uso le mie risorse a questo scopo, ma debbo aver chiare le idee per fare questo e se non posso, come dicono i tecnici della gestione dello stress, è su di me che posso incidere.
Sarebbe bello che, dall’esterno, si trovassero le risorse, spesso, e in Italia ancor di più, questa è una mera illusione, quello sguardo utopico al mondo che proprio non c’è, e lo dico non solo per l’Italia, ma per l’ensemble internazionale, con i loro ritardi sulla sicurezza, con il loro modo di pensare che lascia più che perplessi quando rimarcano una responsabilità individuale che non può essere realistica e lasciano che le misure economiche siano da perseguire in misura maggiore rispetto alla salute psicofisica, fisico psichica, in questo caso.
L’Italia su questo è d’esempio, ha dato lezione, su quel senso di responsabilità in chiusura che ci ha dato i risultati che sappiamo, certo è giusto l’aiuto differenziato dello Stato, ma è anche utile apprezzarci nel momento in cui abbiamo fatto sacrifici e possiamo contare sui nostri risparmi, quindi il negozio non si chiude, il che fa male solo a te, ma conto su di me, i miei risparmi, il modo di rinnovare.
Ci voleva il covid per scoprire che abbiamo risorse e possiamo essere una nazione all’altezza? Bene, questo valore, tanto ridondante, non può essere lasciato cadere, riprendiamo e torniamo a litigare, dovremmo prendere atto del positivo nel negativo, anche nella più brutta delle esperienze ci sono valori nuovi che emergono, risorse nuove da coltivare e non abbandonare, e quali sono i valori veri che abbiamo scoperto? La solidarietà e la generosità, certo, la voglia di lottare nell’emergenza, quel senso di sentirsi comunque vivi e capaci, e così via. Quasi all’infinito, queste riflessioni non le abbandoniamo poi pensando che torneremo come prima perché non si torna come prima, si torna rinnovati, con quel senso di ritrovata libertà, anche di movimento che ritroveremo se non ci abbandoneremo a facili messe in non sicurezza. La security è ancor il primo, imprescindibile passaggio, su questo non c’è dubbio.
la statua tricolore di Vittorio Emanuele II
Nessuno parla di chi dovrebbe essere realmente aiutato, magari solo il parroco sa veramente quanta indigenza ha dovuto vedere, lo sa la Caritas, lo sanno le organizzazioni, scusatemi, apolitiche.
Ho pazienti che hanno avuto difficoltà e che ho seguito a distanza, via Skype, ma se c’è chi si rinnova con lo smart-working o con la ricerca di tecniche e progetti innovativi per i suoi allievi, che segue a distanza, c’è anche quello che, dall’inizio soffre di forti attacchi di panico, e serve a poco, perché non li vede, parlare tout court di risorse, devi andarci piano, con delicatezza, con la forza che ti viene dal tuo mestiere di terapeuta.
Io stessa sono stata colpita dalla chiusura dei tribunali, ne ho sofferto molto, le perizie non si fanno e fanno bene come risorsa personale, di ritrovata indipendenza e autonomia, non posso oppormi e allora? Per ora ho scritto un libro, poi si vedrà.
E certo che chi ha forti attacchi di panico o crisi depressive non può farcela, d’emblée, a vedere le su risorse, ma trovarle, anche sul minimum, aiuta moltissimo. Con gli stessi pazienti critici da disturbo di personalità come da psicosi, persone sofferenti di base, molto difficili, anche il solo stare vicini a sostegno mi ha dato risultati in terapia. Anche solo farli parlare un po' di sé, di sé con quel che si prova, riuscire in questa impresa, ha dato risultati con effetti positivi in perizia. E ne avrei di esempi su casi disastrosi.
D’altronde e andando avanti, mi viene un dubbio. Siamo sicuri che il danno critico è da coronavirus, o ci sono “temi” critici psicologici ante oggi amplificati? Occorre sempre guardare se si scompensa sul virus o si è già da prima sotto pressione e la crisi ha fatto emergere un tema sottostante depressivo opacizzato?
La crisi ovvio che dà un colpo, ma quale “colpo” e in che modo colpisce?
È un dovere terapeutico saper differenziare così come è un dovere politico dare una mano equa che ci salvi, così come è un dovere di chi comunica a livello istituzionale e dei media di non creare confusione, dicendo che non si sa cosa sia un assembramento per giustificare una mossa politica di contrasto a chi magari sbaglia con la multa.
Questo imperativo di noi italiani di far sempre politica, speso vuota, crea difficoltà, magari come dicevo amplifica problemi psicofisici già ingenti in caso di crisi come quella odierna, che bisogno c’è di contornarsi di miriadi di esperti se poi non si vede come tutti noi possiamo essere confusi, media, politica, un po' tutti…
Detto questo riprendo sul concetto di comunicazione, sul concetto di resilienza, due aspetti umani che dobbiamo tener presenti costantemente.
La resilienza è definibile come peculiare vulnerabilità o capacità di “resilienza” come capacità intrinseca storica o come intervento ripartivo ambientale. È un concetto mutuato dalla fisica che indica la capacità di far fronte a eventi o situazione traumatiche, si riorganizza la propria vita nelle difficoltà, si ricostruisce ricostruirsi restando sensibili alle opportunità positive che la vita offre, senza alienare la propria identità. Sono persone resilienti quelle che, immerse in circostanze avverse, riescono, nonostante tutto e talvolta contro ogni previsione, a fronteggiare efficacemente le contrarietà, a dare nuovo slancio alla propria esistenza e persino a raggiungere obiettivi di spessore. I bambini, anche i più maltrattati, hanno una capacità di resistenza ai traumi definiti talora, con un neologismo mutuato dalla fisica, resilienza, che permette anche ai più maltrattati di trovare autonomamente le risorse psicologiche per reagire e quindi per strutturarsi una personalità sana. Si modifica nel tempo in rapporto all'esperienza, al vissuto e, soprattutto, al modificarsi dei processi psicologici e mentali sottesi. Chi ha avuto uno sviluppo psicoaffettivo e psicocognitivo sufficientemente integrati, sostenuti dall'esperienza, da capacità mentali valide, dalla possibilità di valutare eventi, positivi o negativi che siano, così le conseguenze, così le possibili interferenze nel rapporto con l’esterno, è resiliente. È la capacità non tanto di resistere alle deformazioni, quanto di capire come possano essere ripristinate le proprie condizioni di conoscenza ampia, alla riscoperta di una dimensione che renda possibile la propria struttura. È una capacità che può essere appresa e che riguarda prima di tutto la qualità degli ambienti di vita, in particolare i contesti educativi, qualora sappiano promuovere l'acquisizione di comportamenti benefici «La resilienza è la capacità di un individuo di generare fattori biologici, psicologici e sociali che gli permettano di resistere, adattarsi e rafforzarsi, a fronte di una situazione di rischio, generando un risultato individuale, sociale e morale.» (ITP, Motore internet, Wikipedia, Andrea Canevaro, Oscar Chapital Colchado , 2011).
Comunicare e comunicare bene equivale a dire che soggettivamente si è consapevoli di sé e ci si esprime nella piena consapevolezza dell’altrui valenza affettiva e dei significati che l’atro può dare, indipendentemente dal proprio modo di essere.
Quante volte, nella mia” colta” attività peritale torinese, ho sentito dire, in perizia “fra me ed il mio ex marito c’è un difetto di comunicazione?” Tranne poi a scoprire che era sul significato che i due davano agli eventi intercorrenti, il nocciolo del problema, con effetto rebound sulla comunicazione.
Ricordo l’espressione quasi attonita di una insegnante cui tengo molto, quando tempo addietro purtroppo, già diceva “provo tristezza nel vedere questa proliferazione di libri e documenti sulla comunicazione così come vien vista oggi”, una serie di assiomi e concetti che poi lasciano indietro l’emotività delle persone. E ricordo ancora chi mi disse “nel lavoro” e parliamo di lavoro con le forze dell’ordine, in formazione “basta che accendi su un’emozione”, ed è così, non si sa quanto l’ emotività è in gioco nelle illuminate vite di ognun di noi.
Non ho mai visto un paziente che non avesse risorse, magari non le conosce, ma ce l’ha, certo che differenzio, certo che so che il cammino con alcuni, come spesso accade in perizia con i genitori dalle liti ad oltranza, fanno danni ineguagliabili, inestimabili, ma so anche che, opportunamente orientati, molto di loro possono riscoprire se stessi, altri no, e lì non ci si può far nulla, le storie sono talmente dolorose, ma sono una minoranza a mio avviso. Per la mia esperienza, precisiamo.
E per la mia esperienza so che se ne parla troppo poco, tutti impegnati a fare politica, avessi sentito più di due psichiatri parlare in tv o sui giornali, qui è un vizio parlare sempre e solo di temi oggettivi. Che ci sono, certo ma che non solo i soli temi che occorre affrontare spesso inutilmente perché non c’è “peggior sordo di chi non vuol sentire”.
Come si miglior ala capacità di ascolto? La capacità e competenza che avvicina la gente, che la rende solidale e non in conflitto?
L’ascolto, ecco un tema fondamentale su cui poggiano i capisaldi della mindfullness. E ascolto attivo.
due profili? Un calice?
Volti o mani?
La giovane ricca ed elegante? l’anziana signora con il mento pronunciato?
Ho sempre iniziato con lo sguardo a questo tipo di immagini tratte dalla psicologia della Gestalt degli anni 20, e continuo quando mi dedico alla formazione e alla comunicazione, e devo dire che l’interesse non manca nel cercare di individuare una forma piuttosto che un'altra, quando poi è possibile rintracciare sia l’una che l’altra, in base al proprio stile cognitivo. Continuando con semplici esercizi laddove è possibile vedere come un messaggio, magari scritto ma anche parlato, si deforma e assume tutt’altro significato dall’avvio fino alla fine di una “catena”, oserei dire, tra persona e persona il significato non è più lo stesso, come nel gossip, e si potrebbe continuare all’infinito a livello empirico.
Non possiamo non comunicare, iniziano da qui gli assiomi della Scuola di Palo Alto che ci portano alla considerazione esemplare di cosa sia un ascolto attivo, di quanto di noi e degli altri emerge nel processo comunicativo che non è mai lineare o obiettivo, semplicemente legato alla funzione del sentire. Non presumere che chi ascolta capisca ciò che intendiamo dire, se è chiaro a me non necessariamente deve essere chiaro all’altro ciò che dico, scrivo, intendo trasmettere, esprimersi con concetti semplici e parole conosciute, essere ricettivi al feedback e ripetere, se necessario i concetti già esposti. Pensate sia possibile fare tutto questo se non mi conosco emotivamente? Non ho esperienza di chi riesca a farlo senza la dovuta awarness o consapevolezza di sé, comunico bene se mi conosco e conosco i miei limiti.
Così ci si concentra sul problema, non si raccoglie ostilità e si ha una sufficiente comprensione altrui. Per tutti gli effetti della comunicazione non verbale, poi, è utile una formazione ad hoc, di cui continuo incessantemente ad occuparmi. Anche io ascoltando più che parlando, chiedendo approfondimenti e sapendo domandare, come d’altronde in terapia, preferibilmente non entrando in opposizione e facendo capire che si è capito, aprirsi. Nella vita ci vuole empathy, ci vuole autorevolezza, ci vuole l’esempio.
Non è facile, partiamo da noi! Sarà molto più semplice…poi..
Dott.ssa Lorella Bruni
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