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“GENDER”, PER UN APPROCCIO SCIENTIFICO AL TEMA

Si sostiene con insistenza, da tempo ormai, la volontà “politica” di voler

indottrinare perfino i minori o i più piccoli sulle diseguaglianze e l’omofobia.

Non si tratta di un approccio che possa al momento interessare così come

formulato, si tratta di conoscere e di sapere, non di orientare a-priori..

Cosa è, innanzitutto, un “gender”? E’ un costrutto non ancora ben definito, e

c’è chi sostiene che non esista.

A grandi trend sappiamo che l’identità sessuale incida e influenzi gran parte

della nostra vita, ma va sottolineato che il sesso, di per sé, da solo, non è

sufficiente a definire quello che siamo, saremo, faremo, la nostra identità.

L’identità è una realtà articolata, complessa, dinamica. Trovo accurata la

metafora, una “sorta di mosaico composto di sesso, genere, orientamento

sessuale e ruolo di genere”.

Per cui se il sesso è determinato biologicamente, alla nascita, e biologicamente

veniamo definiti maschi, femmine (altro!) in base agli organi genitali, si cresce,

si vive, ci si relaziona. E’ anche un dato perfino la constatazione che gli stessi

genitali a volte possono essere ambigui (intersessualità) e così, fin dall’inizio e

dalla nascita, la natura può non orientare in senso definito e semplice da

valutare.

Il gender, si afferma, è un costrutto socioculturale, per cui non è tanto la

biologia a orientare il nostro sviluppo come uomini o donne e a disporre, in

modo diretto, naturale, al ruolo (di genere). Il ruolo è decisamente tutt’altro.

La categoria di genere ci “impone”, sulla base anatomica sessuale, a seconda

dell’epoca e a seconda del contesto e della cultura in cui siamo immersi, delle

regole cui sottostare, degli atteggiamenti da assumere, dei comportamenti da

seguire: sono i ruoli “sociali” ritenuti appropriati all’uno o all’altro sesso.

Ancora, la teoria del genere rileva che, in sostanza, il genere si acquisisce, non

è innato. Le differenze sono socialmente definite e costruite, variabili su

modelli nel tempo e nello spazio.

L’identità di genere ha a che fare con il “sentirsi”, sentirsi uomo o sentirsi

donna, e non sempre coincide il sesso con il genere. La disforia di genere è poi

una identità a sé, il sentirsi un po’ uomo e un po’ donna.

Certo l’orizzonte è ampio e variegato, di certo esiste una identità maschile, una

femminile, una diversamente orientata, a sé, il tema del sentire diviene

predominante.

Lo sforzo da compiere, e non è semplice, è proprio quello di iniziare a

diversificare però anche l’approccio al problema per cui se rimaniamo su

considerazioni più di ordine e tipo sociale, per cui il tema diventa la

discriminazione, proprio a mio avviso non ci siamo, preferisco l’approccio

scientifico e dell’identità, piuttosto che trattare, d’emblée, le conseguenze sul

piano sociale o l’approccio già definito, in senso accettazione/non accettazione.

Della diversità. Su questo ognuno ha una sua coscienza, una morale, un

interesse sociale, sociologico, politico.

Nel corso del convegno “Educare alle differenze” (Roma, settembre 2014),

voluto e sostenuto dal Comune, si rileva come vada ”introdotta la conoscenza e

la condivisione del trans-gerenderismo e del tran-sessualismo finora tabù per

ciò che concerne il rapporto con la fascia di età 0-6 anni..quindi bisogna

attuare le linee OMS, dall’OCSE che indicano di trattare l’educazione sessuale

delle differenze di genere secondo un approccio globale, da prima dei 4

anni..questo aspetto investe la crescita e la definizione dell’identità di genere,

della relazione tra i generi, della libera scoperta ed espressione di sé, delle

emozioni, dei sentimenti, degli stati d’animo, quanto il tema degli orientamenti

sessuali e dei tipi di famiglia esistenti e possibili”.

Certo, è un punto di vista. Si rischia però, in questo modo, nel contesto

attuale, di non tenere nella dovuta considerazione le fondamenta del

concetto/costrutto non solo della tradizione, del contesto di vita,

dell’orientamento della famiglia stessa, ma gli stessi dati scientifici

sull’influenza parentale, sui temi dell’orientamento, delle difficoltà che, in senso

educativo, si ritiene di dover percorrere. Sul sentire soggettivo.

La conoscenza sui fatti è corretta, la possibilità che la famiglia o la scuola

scelga diversamente, è tutt’altra questione, al di là di ogni accusa è solo la

ricerca che può diramare DUBBI E PERPLESSITA’.

Non sono in pochi ad aggi i genitori che sostengono come sia corretto

conoscere le forma di identità, proteggerle, fare in modo che non esistano

discriminazioni di fatto sul piano socio-economico, per cui si tratta di prendere

posizioni, non discriminanti. Però l’istituzione è altra cosa. Perché il genere

donna o uomo che, insieme, per l’istituzione, formalizzano una unione, anche

coniugale, deve essere necessariamente una formalizzazione eguale per tutti,

perché necessariamente se uomo e donna procreano non si può parlare di

adozione, ad esempio di figli, e necessariamente si devono utilizzare termini

neutri. E così via, la discussione porta lontano e può divenire sterile.

Parliamo invece di ricerca e di conseguenze scientificamente probanti. Per lo

sviluppo sano.

A livello di insegnamento, anche atei come M. Onfray, solo per citare un

esempio, hanno sostenuto che l’insegnamento della teoria gender, molto

dubbia a quanto sembra, può sottrarre spazio ad altre discipline..l’essere

umano non è solo cultura ma anche natura, qui ed ora, questo è un altro

interessante punto di vista che poggia su dati concreti di dubbio scientifico.

Ancora non siamo di fronte, tout-court, a un processo di abbattimento delle

differenze, uomo-donna come di altre differenze, culturali, interculturali e via di

seguito. Il processo presenta asperità, lacune, è magmatico.

Ma poi questo cosiddetto “terzo genere” dove è?

Sembrerebbe che non solo la teoria del gender esiste e viene accolta con

favore dall’alto, ma è pure costantemente falsificata dalle ricerche che si

susseguono, anche se, comprensibilmente, godono, queste ricerche, di minor

clamore e pubblicità.

Il sociologo P. Sullins avverte sui pericoli e rileva che “i problemi emotivi sono

maggiori per i bambini con genitori dello stesso sesso rispetto a quelli con i

genitori di sesso opposto, addirittura con una incidenza più che doppia”. Lo

svantaggio esiste, continua. Colpa e responsabilità dell’ambiente? Comunque è

un dato su cui riflettere, Preoccupazioni, depressione, rapporti difficili con

coetanei e incapacità a concentrarsi sono aspetti che sono stati analizzati con

scrupolo e di cui non si può non tenere conto.

Almeno nella fase attuale, distinguendo tra quanto è dovuto e sulle variabili

non solo oggettive.

E’ con rigore scientifico che, a mio parere, si possono oggi, allo stato ancora

magmatico della ricerca, trovare risposte utili e di una certa concretezza.

Diciamo pure che finora non ci ha aiutato neanche la possibilità di dirimere il

tema omosessualità. Tempo fa ci si domandava e ci si domanda tuttora quali

possano essere le ripercussioni negative nell’avere due mamme o due papà e

la ricerca si è divisa. Ora sul gender si ripropone di nuovo una scelta.

Finché la ricerca si divide, finché il mondo scientifico è in così aperta difficoltà,

è bene guardare a quanto accade anche empiricamente, guardare a quel che

succede, alle credenze, al pensiero e alla valutazione, all’emozione in gioco.

Certo è che finora, con chiarezza, a livello genetico, possiamo definire il sesso

non il genere, e il sesso ha le sue eccezioni. Il genere è un costrutto soggettivo

e soggetto a una varietà estesa di componenti socio culturali.

In terapia, definire un’identità maschile e femminile a seconda dei casi che ci si

presentano così come una forma di identità “terza” diviene viepiù una

necessita impellente.

Non è certo raro il caso dello stesso omosessuale che ha temi problematici

profondi di identità e di riconoscimento di sé in base a una identità che non è

maschile e non è femminile, ma altro.

Il riconoscimento di questo dato tranquillizza e stabilizza, laddove

atteggiamenti, emozioni e convinzioni, problemi e risoluzione avvengono

all’interno e sul riconoscimento di sé che prescinde dal maschile e femminile

tradizionalmente definito, ma su altra forma identitaria.

In campo psicologico, la teoria dell’imprinting ci dice che esistono rischi di

orientamento fin dalla nascita. Chi non appartiene a questo ambito di pensiero

parla di identità costruita su basi e presupposti diversi da quelli puramente

sessuali. Il transgender è altro da identità uomo e da identità donna, è molto

chiaro.

Empiricamente diciamo che esistere certo il rischio di orientamento: una volta

dato, va gestito.

Certo è che, finora, all’interno di questa società è corretto porsi poi

interrogativi al di là dei programmi e delle direttive emanate a livello politico,

certo che danneggia chi discrimina, ma una discriminazione al contrario,

magari su costrutti che vengo interpretati come “tradizionali”, è altrettanto

dannosa e negativa.

Su queste basi l’agire soggettivo, la gestione di pensiero e di emozione

contano molto. Comunque sia, sotto qualsiasi cornice la si ripropone, con

difficoltà variabile a seconda delle condizioni di contesto ed delle risorse in

essere.

Di massima in sostanza, e fino ad oggi il tema è quello della possibilità di

stabilizzare difficoltà identitarie.

L’”identità transgender” non è canonica, non è comune, può produrre

disorientamento, il disorientamento degli adulti ancor più che quello dei

bambini, ma anche i bambini sono permeabili e a forte rischio, sia pure su altro

fronte, quello delle conseguenze non della valutazione.

Una strada è la riflessione, come sempre. Riflettiamo se su di noi possono

incidere conclusioni di tipo tradizionale, morale o se di converso il giudizio

vuole essere scientifico, perché ancora la scienza è divisa e occorre un maggior

numero e una qualità migliore, un rigore metodologico altro.

Empiricamente, le condizioni che ho valutato, anche in perizia, e che forse

ancora valuterò, non erano da riferirsi in sé all’identità. E’ utile saper che

identità genitoriale e capacità genitoriale sono concetti complessi, non sempre

coincidenti, come ben sappiamo a livello di psicologia giuridica.

Personalmente ho seguito il cambiamento di orientamento sessuale in un

genitore che, a un certo punto, ben determinabile della sua vita, ha adottato

un diverso orientamento sessuale, e questo in procinto di separarsi. Finendo

per danneggiare il rapporto con i figli, su temi problematici suoi, indipendenti

dall’identità di genere. Mi è stato riferito di gestioni e capacità/incapacità

familiari, oltre che relazionali, da parte di “gender, impeccabili all’esterno”,

dove l’ambiente socioculturale di appartenenza e una certa elevazione

culturale, hanno contenuti problemi di genere e i figli non hanno avuto

ripercussioni significative.

Se, come accade, oltre e al di là del tema del “gender”, emergono dinamiche e

aspetti di fondo che riguardano l’essere oltre che l’agire, che riguardano tratti

di carattere oppositivi, di principio, per non parlare di disturbo, per cui invece

si “pretende”, in un società e in ambienti poco favorevoli, di “imporre” un

orientamento “diverso” dal proprio, imponendo tutto un modo di pensare e

vedere (oppositività fino alla sociopatia), che più che al gender guarda fino a

che punto doversi differenziare e come dimostrare, allora, tutto cambia.

Cambia anche a livello di analisi delle circostanze e del soggetto nel suo

sviluppo, all’interno di una famiglia e in relazione con i figli.

Credo molto nella consapevolezza di sé, anche al di là del gender.

Le capacità genitoriali, la flessibilità e la capacità di adattamento sociale, di

ascolto delle esigenze di minori, del controllo stesso sull’educazione di figli,

questo il punto.

In attesa che la ricerca illumini ulteriormente, mi fermerei qui, cercando

sempre di non rimanere sommersi dal giudizio e dall’orientamento di moda, in

quel momento, che poi diviene manipolazione. E’ un rischio forte da cui tenersi

al riparo.

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